Pillole di iodio anti radiazioni: boom di richieste, servono in caso di attacco nucleare
E’ boom di vendite di pillole di iodio anti radiazioni dopo la notizia dell’attacco, nel corso dell’invasione russa in Ucraina, alla centrali nucleari di Chernobyl e di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa. Mentre l’Italia e il resto dell’Europa dormiva, si svolgeva un attacco a una centrale nucleare che poteva avere conseguenze devastanti. Zelensky ha parlato senza mezzi termini di un attacco che poteva decretare la fine dell’Ucraina e dell’Europa, se la centrale fosse stata danneggiata, provocando conseguenze dieci volte superiori a quelle di Chernobyl.
30mila confezioni al giorno
La cosa che più spaventa è che da quando è iniziata la guerra tra Russia e Ucraina, la parola ‘nucleare’ è stata sdoganata come nulla fosse. Quelli che fino a pochi mesi fa erano scenari da film post apocalittici, adesso sono temi con i quali ci si confronta: siamo a un passo da una guerra nucleare? D’altra parte dopo la pandemia mondiale, non si può scartare più nulla.
Fatto sta che la notizia dell’attacco alla centrale ha scatenato un boom della domanda di compresse anti-radiazioni a base di iodio in alcuni Paesi europei. In Belgio, in particolare, la corsa all’accaparramento delle pillole, distribuite gratuitamente nelle farmacie del Paese, è iniziata la scorsa settimana. Addirittura sono state consegnate 30mila confezioni al giorno. Vediamo a cosa servono le pillole allo iodio e se davvero potrebbero salvarci in caso di esposizione a radiazioni.
Come funziona
L’Istituto superiore di sanità spiega che un incidente nucleare, causato da un danno a una centrale o dall‘esplosione di una bomba, provoca un rilascio di iodio radioattivo che contamina l’ambiente, con conseguente esposizione esterna. Inalare o ingerire aria, cibo o acqua contaminata provoca assorbimento di iodio radioattivo principalmente da parte della tiroide. La ghiandola tiroidea, che utilizza lo iodio per produrre ormoni tiroidei, non distingue tra iodio radioattivo e iodio stabile. Questo comporta che l’assunzione di pillole allo iodio non radioattivo (stabile), prima o all’inizio dell’esposizione allo iodio radioattivo, può impedire l’accumulo di quest’ultimo nella tiroide.
Lo scopo è saturarla, in modo da ridurne poi gli effetti dannosi. Quindi sì, lo iodio stabile può aiutare in caso di contaminazione nucleare.
I rischi
Questo non significa che bisogna farne un uso preventivo odi automedicazione. L’Agenzia federale belga per il controllo nucleare ha rassicurato che “l’attuale situazione in Ucraina non richiede l’uso di compresse di iodio”. Ha ricordato, inoltre, che “le pastiglie di iodio non offrono protezione contro altre sostanze radioattive” dalle quali, in caso di emergenza, è necessario ripararsi e che l’uso delle compresse è raccomandato solo per le persone in determinate fasce d’età. In caso di fuoriuscita di radiazioni, i minori di 18 anni, in particolare i più piccoli, sono maggiormente a rischio di sviluppare tumori. Lo stesso vale per le donne in gravidanza o in allattamento, mentre gli adulti dai 18 ai 40 anni hanno meno probabilità di sviluppare il cancro alla tiroide. Il rischio si abbassa ulteriormente per gli over 40, rendendo l’uso delle compresse “controproducente e persino potenzialmente tossico“, ha chiarito l’Agenzia belga ricordando che lo ioduro di potassio aumenta il rischio di disfunzioni della tiroide.
Effetti collaterali
Marcello Bagnasco, presidente dell’Associazione Italiana della Tiroide (Ait) e specialista in endocrinologia, medicina nucleare e immunologia clinica, in un’intervista a Repubblica, ha messo in guardia sulla pratica fai da te legata all’assunzione di pillole allo iodio, perchè “se si assumono in autonomia e senza il consiglio del medico compresse di iodio si potrebbe verificare un eccesso di questo elemento che può provocare effetti collaterali come, per esempio, un aumento di incidenza delle patologie autoimmuni”.