Intervista Salute: Daniele Oppo, occhio ai rimedi omeopatici
Oggi abbiamo il piacere di intervistare Daniele Oppo. Daniele ha una laurea in giurisprudenza ma la sua formazione successiva si è spostata verso il giornalismo scientifico, che è anche il campo che lo vede impegnato in una collaborazione con il Master in giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara, oltre che la materia del corso di dottorato che sta frequentando. A Estense.com, essendo un tipo di giornale iper-locale, si occupa di un po’ di tutto, dalla cronaca allo sport. Ovviamente si occupa anche di temi legati alla salute in chiave locale, come, ad esempio, gli studi effettuati a Ferrara da Paolo Zamboni e poi quelli in campo internazionale sulla correlazione tra l’insufficienza cronica cerebro-spinale (Ccsvi) e la sclerosi multipla.
Da quanti anni si occupa di salute sul web?
Dal 2011 in poi – anno in cui ho iniziato a frequentare da studente il Master in giornalismo scientifico di Ferrara: anche se è solo uno dei settori legati al giornalismo e alla scienza che seguo, è indubbio che da qualche tempo ormai, l’informazione ‘scientifica’ nel panorama dell’informazione italiano è occupata prevalentemente dal settore che potremmo chiamare “salute, medicina e società”.
Com’è cambiato il rapporto salute-lettori da quando le informazioni sono facilmente reperibili su internet?
C’è una sempre maggiore richiesta di informazioni legate ai temi della salute con i lettori che sono diventati man mano sempre più lettori-critici rispetto ai contenuti giornalistici. Questo è dovuto sia al fatto che i lettori sono più informati rispetto a prima (e hanno possibilità di interazione che prima, con la sola carta stampata, non c’erano), sia per il fenomeno opposto, ovvero la disinformazione dovuta alla crescente presenza di informazioni spurie o provenienti da fonti non affidabili che comunque riescono a penetrare in una larga fetta di lettori.
Cosa ne pensa della cybercondria? Cosa possono fare in questo senso gli addetti ai lavori?
È un fenomeno rilevante dovuto alla sovrabbondanza di informazioni mediche che spingono in qualche modo ad accentuare, fino a renderlo patologico, un comportamento tutto sommato abbastanza naturale come quello dell’autodiagnosi. Gli addetti ai lavori hanno una grande responsabilità in questo caso e il nodo si trova in gran parte nel dovere principale di un giornalista: verificare la correttezza delle informazioni. È molto importante anche non ‘esasperare’ le notizie legate alla salute, come invece spesso accade, in particolare quando si parla di epidemie. Questo non basta e dunque forzo (perché non mi piace) un concetto: gli addetti ai lavori (ma non solo) devono in qualche modo educare alla corretta lettura delle informazioni: un articolo di giornale, la pagina di Wikipedia, le informazioni (per quanto spesso anche abbastanza dettagliate) trovate in Rete tramite Google non sono neppure lontanamente sufficienti a sostituire anni di studi universitari e di pratica necessari per diventare un medico e, dunque, per effettuare correttamente delle diagnosi e valutare eventuali patologie. Va in qualche modo ridimensionata quella specie di eccesso di autostima che ci porta a convincerci di essere in grado di individuare esatte correlazioni causa-effetto davanti ad alcuni segnali del nostro corpo che interpretiamo come sicuri sintomi di una patologia a scelta tra quelle disponibili nel mare di informazioni sul Web.
Quali sono le condizioni di lavoro ideali per un salut-ista (giornalista che si occupa di salute):
Tempo (tanto) a disposizione per valutare e verificare al meglio le informazioni che si ricevono (o per cercarle, ovviamente), fonti attendibili ed esperti del settore disponibili a darci spiegazioni e chiarirci le idee per essere in grado poi di ridurre le complessità intrinseche dell’argomento e trasformarle in una notizia fruibile dai diversi pubblici di riferimento senza perdere la qualità dell’informazione data.
Come giudica il panorama italiano circa l’informazione sulla salute?
Molto variegato e con vari livelli qualitativi, anche all’interno delle singole testate giornalistiche. Ci sono giornalisti molto bravi e preparati che fanno informazione di alta qualità. Eppure troppo spesso appaiono articoli (o servizi televisivi) nel campo della salute che sono, francamente, poco tollerabili: ogni inverno, ad esempio, sono immancabili gli articoli su come alleviare i sintomi dell’influenza con rimedi omeopatici (ovvero, letteralmente, con acqua e zucchero venduti a peso d’oro), oppure possiamo ricordare le campagne di informazione sul cosiddetto metodo Di Bella o la recente vicenda Stamina: due fenomeni che in buona misura sono stati prodotti anche (ma non solo) dalla cattiva informazione e da un giornalismo di bassa qualità.
Quali consigli darebbe a un giovane che sta per iniziare questo mestiere?
Puntare tanto sulla propria formazione da comunicatore e non solo da giornalista, puntando a fare informazione di qualità in ambiti diversi per pubblici diversi. C’è anche una questione di tipo economico: l’editoria sta subendo una forte crisi da diversi anni e, al momento, non si vede la luce in fondo al tunnel, dunque se si vuole fare dell’informazione – ripeto, di qualità, dell’altra ce n’è fin troppa e alla lunga credo sia destinata a non pagare più -, per quanto settoriale come quella sulla salute, è bene tenere aperte più porte, anche perché la concorrenza è tanta in un spazio che va man mano a ridursi nonostante le ampie praterie messe a disposizione dalla Rete.