Pensioni Monti: le novità, cosa cambia
Tra le modifiche che la politica vuole attuare alla riforma Monti e Fornero sulle pensioni c’è il tentativo di ridurre le penalizzazioni per chi smette di lavorare prima dei 62 anni usando solo il metodo contributivo.
Un obiettivo che Pdl, Pd e Terzo Polo sperano di riuscire a perseguire.
La riforma previdenziale dell’accoppiata Fornero-Monti è a suo modo rivoluzionaria perchè si dice addio al sistema dell’anzianità per passare a quello unicamente contributivo, decisivo per migliorare le entrate dello Stato ma devastante per molti lavoratori.
La commissione Bilancio ha rallentato i lavori, ma si spera già per fine anno di porvi rimedio con il decreto milleproroghe. In base alle novità del governo Monti, ci sono delle penalizzazioni per chi sceglie la pensione anticipata con 42 anni e 1 mese di contributi (41 anni e 1 mese per le donne), ma sono diminuite dal 2% all’1% l’anno per chi va in pensione con 61 e 60 anni.
Nessuna variazione invece per chi va in pensione con un’età ancora inferiore. Si tratta della strada che potrà essere presa a partire dal 1° gennaio 2012 per i pensionamenti anticipati. Addio invece a quelle pensioni d’anzianità che finora erano state gestite solo dalla somma di anzianità anagrafica e contributiva.
Come detto si passa al metodo contributivo, che verrà introdotto dal 1° gennaio 2012. Addio alle pensioni retributive che presentavano una forte discrepanza tra ciò che veniva incassato e ciò che si era versato. E che alla fine ha portato ai danni che oggi lo Stato si ritrova a dover fronteggiare Altra novità che arriverà dal prossimo anno è l’aumento della soglia di vecchiaia. Si parla di 66 anni per gli uomini e 62 anni per le donne. Lo scopo è arrivare poi progressivamente a 66 anni nel 2018.
Sull’articolo 18, non si capisce bene l’oggetto del contendere.
La controversia attualmente in corso sull’articolo 18 non è, a mio parere, facilmente decifrabile.
I sindacati hanno perfettamente ragione quando sostengono che la sua abrogazione nelle modalità in cui è prevista dall’attuale governo italiano esporrebbe i lavoratori ad un ricatto continuo, in grado di danneggiare in modo grave e spesso drammatico le condizioni di vita delle loro famiglie. D’altra parte, è evidente che, se un’azienda non è più in grado, a causa di un rilevante ridimensionamento dei suoi ordinativi, di sostenere il peso della manodopera essa debba poter ridurre gli organici onde scongiurare il fallimento, che produrrebbe un danno sociale ed economico aggiuntivo. Per risolvere il dilemma, credo che basterebbe aggiungere, tra le motivazioni di “giusta causa”, proprio quella riduzione degli ordinativi che, una volta accertata in base a criteri concordati tra confindustria e sindacati, potrebbe effettivamente costituire una valida ragione di licenziamento (e in questo caso dovrebbero essere predisposti e concordati interventi a tutela dei lavoratori) senza tuttavia esporre gli stessi lavoratori a ricatti motivati da ragioni pretestuose e/o comunque personali da parte dei datori di lavoro.
Gustavo Micheletti
http://www.gustavomicheletti.it