Alimentazione

Anoressia e bulimia colpiscono anche i bambini: cosa fare

Anoressia e bulimia colpiscono anche i bambini: cosa fare
Anoressia e bulimia, secondo la Società Italiana di Pediatria, sono disturbi alimentari che colpiscono due milioni di adolescenti. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, i primi segnali compaiono già intorno agli otto anni. Un esordio davvero precoce messo in evidenza da una ricerca del ministero della Salute su più di mille preadolescenti e adolescenti.

Oltre ad anoressia e bulimia, esistono disordini alimentari più subdoli perchè difficili da interpretare, come la disfagia, cioè la difficoltà a deglutire, l’alimentazione selettiva e il “food avoidance emotional disorder” meglio conosciuto come disturbo emotivo da evitamento del cibo.

Iolanda Frangella, biologa nutrizionista esperta in consulenze nutrizionali volte al dimagrimento e al miglioramento dello stato di salute, e di educazione alimentare per il singolo e per gruppi, commenta la notizia in esclusiva per Dottor Salute: “L’età di esordio di disturbi del comportamento alimentare si è notevolmente abbassata negli ultimi anni, spostandosi in una fascia d’età che va dai 10 ai 14 anni, toccando anche gli 8 anni. I motivi di tutto ciò sono facilmente individuabili nel contesto sociale con il quale ci si confronta sin da giovanissimi, continui messaggi di perfezione che puntano alla creazione di uno standard di bellezza. Tale confronto e il conflitto tra mente e corpo sono accentuati dai giudizi dei coetanei, dal gruppo che fomenta una errata percezione dell’immagine corporea. L’ambiente famiglia è spesso in questi casi povero dal punto di vista comunicativo e il genitore stesso fa difficoltà ad accorgersi e, soprattutto, accettare che ci sia qualcosa che non va.

La difficoltà dei genitori risiede di frequente nel fatto che loro stessi hanno un rapporto con il cibo non proprio equilibrato, che nel tempo viene acquisito dai figli…i quali, come è ben noto, agiscono seguendo l’esempio di chi gli sta attorno. Il rapporto con il cibo è un rapporto delicato, che va ben oltre il semplice alimentarsi per sopravvivere e crescere, esso sottintende emozioni, legami, ricordi… ed è nei primi anni di vita che viene data un’impronta.

Quali sono allora i segnali che una madre o un padre possono captare dal proprio figlio?
Inizierei innanzitutto con il dire che il fatto che un bambino/ragazzo rifiuti del cibo non per forza sta ad indicare la presenza di un disturbo alimentare propriamente detto. Nell’infanzia è frequente che il bambino esprima un malessere transitorio attraverso il cibo, il che non deve porre eccessiva apprensione nei genitori; caso diverso si ha quando un certo comportamento perdura nel tempo e si manifesta attraverso diverse sfaccettature, per cui ad esempio il bambino rifiuta ripetutamente cibi nuovi, dal sapore o colore diverso. Nell’adolescente la condizione può anche essere transitoria, ma è più facile diventi disturbo se si protrae nel tempo e si manifesta con eccessiva rigidità, chiusura e conflittualità nei confronti di tutto ciò che fa da opposizione alle loro scelte.

Detto ciò, segnali piuttosto semplici vanno dal rifiuto del cibo, all’utilizzo di scuse per evitare di trovarsi di fronte ad un pasto (ho già mangiato, mangerò fuori, ho mal di pancia), soprattutto se diverso dalla propria programmazione dello stesso, all’attenzione spropositata per il peso e le calorie, alla corsa in bagno dopo i pasti, all’impegno in un’intensa attività fisica a scapito di qualunque altro interesse.

Una volta seduti a tavola qualcos’altro può farci intendere che qualcosa non va, distinguere i cibi in tavola in “cibi giusti” e “cibi cattivi” a seconda di quanto si crede facciano ingrassare, sminuzzare il cibo in parti piccolissime e mangiare molto lentamente, consumare molte gomme da masticare, usare bevande light e bevande calde. Tutto ciò può essere accompagnato da un improvviso interesse che l’adolescente inizia ad avere per gli aspetti salutistici dell’alimentazione, per la preparazione dei pasti e soprattutto per ciò che riguarda le diete dimagranti.

Genitori attenti, informati e quanto più aperti all’ascolto di ciò che il figlio dice, ma soprattutto di ciò che non dice, possono fare la differenza. Errore comune è quello di non riconoscere che il cibo altro non è che un mezzo per esprimere un malessere, l’attenzione viene concentrata quindi sugli effetti piuttosto che sulla reale causa del problema. Dal punto di vista alimentare è importante che mamma e papà promuovano una sana alimentazione, sensibilizzando i propri figli fin da piccoli.
Attenzione, sana alimentazione non vuol dire dimagrimento, anzi, il concetto di dieta come perdita di peso deve essere ridimensionato… bisogna mangiare bene per proteggere la nostra salute. I genitori non devono usare il cibo come dono o concessione per gestire delle situazioni con il bambino (“se finisci la pasta ti porto al parco”) perché l’atto del nutrirsi dipenderà da dinamiche relazionali e il bambino si renderà conto subito di poter usare il cibo per ottenere o rifiutare.

Come dicevo sopra, il bambino ripropone ciò che apprende dagli adulti vicini, ed è dunque utile che questi ultimi seguano delle ‘regole’, che insegnino ai loro figli l’importanza del pasto da consumare insieme e intorno ad una tavola…facendo attenzione a non sovraccaricare neanche il messaggio cibo= amore.

Semplice non lo è affatto e non si può neanche generalizzare poiché ogni famiglia è un ambiente a sé ma certo è che i figli devono essere lasciati liberi di sviluppare i loro gusti alimentari, di conoscere, senza imposizioni rigide di regimi seguiti all’interno della famiglia. Spesso mi trovo davanti a bambini in sovrappeso, le cui madri sono ossessionate dal numerino sulla bilancia e
trasmettono ai figli questo senso di inadeguatezza, errore… convinte di agire bene con la frase “sei più grasso di me, devi dimagrire”. Come si può immaginare così non è, e questo atteggiamento altro non fa che creare un terreno fertile per far crescere insicurezze e far sentire il bambino, se pure dimagrirà nel tempo, marchiato.

Diversi sono i casi di bambini che dal sovrappeso, rientrano poi nel normopeso e sviluppano però dei disturbi alimentari di vario tipo. In tutto ciò un ruolo chiave, oltre al genitore, è ricoperto dal nutrizionista che li segue, poiché un bambino non deve seguire una dieta dimagrante ma essere educato ad una corretta alimentazione… educazione che passa dal genitore, il quale se non altro è colui che fa la spesa.

Il nutrizionista ha quindi un ruolo chiave nella prevenzione primaria, individuando e correggendo atteggiamenti alimentari che potrebbero sfociare in credi sbagliati e ossessivi. Nella gestione dei disturbi del comportamento alimentare si occupa della riabilitazione nutrizionale, del riequilibrio per evitare di compromettere oltre lo stato di salute… per cui niente di imposto, ma concordato e accettato. Sottolineo che i disturbi del comportamento alimentare, necessitano di un intervento multidisciplinare che coinvolga medico, nutrizionista o dietista e psicologo, sottovalutare e trascurare l’importanza dell’aspetto psichico, fulcro del problema, sarebbe un grave errore”.