Medicina

Sepsi: l’impegno italiano non è da meno di quello europeo

La Sepsi,  malattia molto nota nei reparti di terapia intensiva, colpisce oltre 750mila persone ogni anno con una mortalità che eccede quella del cancro alla mammella e insufficienza cardiaca cronica. Gli esperti ribadiscono che un trattamento rapido porta alla  riduzione della mortalità. Ne abbiamo parlato con Massimo Antonelli, presidente della SIAARTI.

Venezia, 23 ottobre. Cosa si può fare per diminuire le morti per Sepsi  ?

“Occorre riconoscere molto precocemente i sintomi e trattarli rapidamente. Le raccomandazioni suggeriscono di  prescrivere gli antibiotici entro la prima ora e di agire con alcune procedure entro le prime 24 ore. Si tratta di una battaglia contro il tempo. La Sepsi è un  “patrimonio” dell’intensivista ma grazie agli sforzi compiuti negli ultimi 10 anni con le Campagne di comunicazione è stato possibile estendere i concetti di una diagnosi precoce  anche ai reparti fuori della terapia intensiva.  In Australia,  per esempio,  l’utilizzo saggio e oculato delle  raccomandazioni (promosso con le campagne di comunicazione) ha portato una riduzione della mortalità fino al di sotto del 15 per cento.”

Nell’Unione europea la morte per Sepsi è ancora elevatissima: 90 casi ogni 100mila abitanti. Cosa sta facendo l’Europa per arginare questa tragica situazione e cosa sta facendo l’Italia?Sepsi: l’impegno italiano non è da meno di quello europeo

“L’impegno italiano è pari quello europeo.  Le società scientifiche hanno messo in atto azioni focalizzate al miglioramento diagnostico e al trattamento terapeutico precoce. Le campagne di comunicazione hanno messo in luce  nuove scoperte  e novità terapeutiche”

Perché i germi della sepsi sono così resistenti agli antibiotici?

“Il problema  è scottante e sentito in tutto il mondo. C’è una associazione internazionale che lotta per il corretto utilizzo degli antibiotici evitandone un uso indiscriminato. L’insorgenza delle resistenze agli antibiotici non è tanto legato al vasto utilizzo all’interno della comunità  degli  ospedali ma soprattutto all’uso in agricoltura e in allevamento dove i mangimi finiscono per essere ricchi di antibiotici. Quest’ultimi sono diffusi anche nelle acquaculture.  All’interno degli ospedali i germi tendono a concentrarsi e una non corretta politica di prevenzione  comporta  una trasmissione delle infezioni  da un paziente a un altro. Non gestendo correttamente una politica antibiotica si corre il rischio, nel microcosmo ospedaliero, di ripetere  gli errori e  i  rischi che si hanno nel macrocosmo  dell’agricoltura e dell’allevamento. All’orizzonte ci sono nuove molecole ma non sono ancora in commercio e costano milioni di dollari”.