Scienza

Allergie: nel 90% curate con il vaccino

Vaccino sì o no? Al momento l’immunoterapia specifica, nel caso di allergie agli imenotteri, raggiunge una probabilità di successo del 98-99%. In media, invece, per le terapie tradizionali, si raggiunge l’80%. Ma, in media, al momento si stima che 9 persone su 10 possano curare la propria allergia con il vaccino.

Circa il 50% dei pazienti non è soddisfatto del trattamento farmacologico, ma solo il 40% conosce il vaccino, ovvero l’immunoterapia specifica. Questo è un trattamento a lunga durata, dai 3 ai 5 anni, con effetti in tempi medio lunghi, in grado di modificare la risposta del sistema immunitario. Per la prescrizione del vaccino occorre rivolgersi ad uno specialista che sappia fare correttamente la diagnosi e che conosca le regole per poterlo somministrare. “No” assoluto alle cure prescritte solo dopo diagnosi approssimative.

Se ne discute oggi durante il 4° Congresso IFIACI e il 27° Congresso Nazionale della SIAAIC, Società Italiana Allergologia, Asma ed Immunologia Clinica, a Roma sino a domani.

“Il congresso di quest’anno costituisce un evento importante perché da pari dignità a tutte le componenti dell’allergologia e dell’immunologia clinica italiana e ristruttura la società ponendo nuove basi – dichiara il Prof. Giorgio W. Canonica, Neopresidente SIAAIC e Direttore Clinica Malattie Respiratorie e Allergologia dell’Università di Genova – Anche le aree tematiche di interesse in modo da dare eguale importanza anche a tutti gli argomenti che fanno parte della materia. La partecipazione di oltre 500 specialisti da tutta Italia sottolinea l’importanza specifica del programma”.Somministrazione di vaccino contro l'influenza H1N1


Sei persone su dieci non conoscono l’immunoterapia specifica per le allergie: a spaventare maggiormente anche chi la conosce sono gli effetti collaterali, in quanto il vaccino è legato ad una iniezione sottocutanea, nonostante finora non siano stati rilevati effetti preoccupanti. Oggi, inoltre, gli specialisti dispongono del vaccino sublinguale, che è molto più sicuro e tollerato, e può anche essere autogestito. Il vaccino riduce, nel lungo-medio termine, i sintomi e il bisogno di farmaci.

“Questo tipo di terapia è esattamente equipollente a un farmaco normale – aggiunge il Prof. Giorgio W. Canonica – superando tutti quei pregiudizi che si erano consolidati e che risultano assolutamente infondati. Non funziona sul sintomo ma sul cambiare la problematica immunologica del paziente, e quindi è un “controller” della terapia.

In Italia l’80% del mercato dei vaccini è sublinguale, per motivazioni culturali. La migliore terapia è però quella disegnata sul paziente, perché non ce n’è una giusta in assoluto. Le linee guida non devono vincolare, ma dare le raccomandazioni corrette affinché il medico le possa applicare al singolo paziente.


Ad oggi le percentuali di successo sono molto ampie, molto di più rispetto al passato, per varie motivi: innanzitutto per la qualità del prodotto, poi per le condizioni scientifiche che abbiamo a disposizione, e che ci permettono di scegliere le giuste terapie. Manca ancora, però, il “biomarker” predittivo di risposta, ossia la consapevolezza in anticipo che un paziente risponderà o non risponderà alla terapia. Ma questo discorso vale anche per tante altre terapie”.

Al momento l’immunoterapia specifica, nel caso di allergie agli imenotteri, raggiunge una probabilità di successo del 98-99%. In media, invece, per le terapie tradizionali, si raggiunge l’80%. Ma, in media, al momento si stima che 9 persone su 10 possano curare la propria allergia con il vaccino.

“Il vaccino non deve assolutamente sostituire i farmaci – sottolinea il Prof. Giovanni Passalacqua del Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche di Genova – che rimangono indispensabili per la cura: molti di questi sono estremamente efficaci nell’immediato, mentre il vaccino è un trattamento, con effetti a lungo termine, che dura dai tre ai cinque anni: i primi effetti si hanno dopo due-quattro settimane dall’inizio della cura. Una volta sospeso il corso vaccinico, gli effetti si mantengono dai tre ai cinque anni. Quando i sintomi peggiorano, si riparte con un nuovo ciclo”.

I consigli degli allergologi:

1) fondamentale avere una diagnosi precisa, per sapere quale allergene incida principalmente sul proprio stato di salute, per ridurlo o evitarlo quando possibile;

2) una prescrizione farmacologica adeguata;

3) un’educazione del paziente, per spiegargli qual è il disturbo, da cosa è causato, come può essere trattato, e perché segua attentamente la cura prescritta. Spesso, infatti, chi si lamenta della scarsa efficacia dei farmaci non ha seguito con la dovuta attenzione la prescrizione e i tempi della stessa.

Tra gli altri temi che saranno trattati durante il congresso, largo spazio alla rinite allergica, all’asma bronchiale, alle allergie professionali e a quelle al lattice. Un’occasione importante che unisce tutti gli specialisti italiani e i più influenti esperti a livello internazionale per discutere degli argomenti più attuali riguardanti l’area delle patologie allergologiche e del sistema immunitario. Queste malattie sono in grandissimo aumento nella nostra popolazione: la percentuale di pazienti con allergie aumenta a livello esponenziale, sino a coinvolgere un italiano su cinque.

“La rinite allergica colpisce un adulto su cinque, e un bambino su quattro – spiega il Prof. Massimo Triggiani, Presidente uscente SIAAIC e docente di Allergologia e immunologia clinica presso l’Università di Salerno – Ma il trend tende ad aumentare: entro il 2020 colpirà il 50% dei più piccoli. L’asma bronchiale colpisce intorno al 10% della popolazione, mentre le allergie alimentari colpiscono il 6% dei bambini ed il 4% degli adulti. Per quanto riguarda quelle ai farmaci, non esistono ancora dati definitivi, ma l’incidenza, anche questa in aumento, è stimabile intorno all’1% della popolazione per quanto riguarda le reazioni avverse a medicinali, soprattutto antibiotici e antiinfiammatori, ed a mezzi di contrasto usati in radiologia”.

Gli equivoci, secondo gli allergologi, si hanno anche con i sintomi respiratori: l’iperreattività bronchiale, ossia una forte sensibilità delle vie aeree che diventano molto reattive a particolari stimoli quali fumo, odori forti, agenti irritanti, può essere confusa con l’asma allergico.

“In questi casi – continua il Prof. Massimo Triggiani – una persona su due consulta il web: nel 90% dei casi l’informazione via internet è scorretta, o in toto o parzialmente. E se la diagnosi è errata, il paziente che si rifugia subito in farmaci può incorrere a danni significativi, oltre ovviamente a non curare nulla. Anche quando la diagnosi è corretta, c’è bisogno di attenzione per capire non soltanto il sintomo, ma per individuarne le cause”.