Medicina

Immunoterapia omeopatizzata utile per ottimizzare l’efficacia degli antibiotici

 La buona notizia è che nel 2014, come evidenziato dal “Rapporto Osmed” dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), relativo ai primi 9 mesi dello scorso anno, il consumo di antibiotici ha registrato una flessione del 4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Molto, però resta ancora da fare per sensibilizzare la popolazione a un impiego corretto di questa classe di farmaci sia perché il loro abuso favorisce la selezione di ceppi batterici resistenti (e talvolta multiresistenti) sia perché lo scenario futuro appare poco promettente in termini di innovazioni terapeutiche.

L’economista inglese Jim O’Neill ha recentemente previsto che entro il 2050 i batteri resistenti potrebbero causare nel mondo un incremento di 20 volte dei decessi attuali, che saliranno così a 10 milioni, superando quelli dovuti ai tumori. L’omeopatia dedica particolare attenzione ai batteri resistenti, seguendo una propria metodologia sia per ricercarli sia per eradicarli attraverso il diretto coinvolgimento del sistema immunitario.

Innanzitutto va detto che gli antibiotici, oltre alla resistenza, possono promuovere anche il cambiamento della struttura dei microrganismi, facendo perdere loro la parete cellulare, con la conseguente trasformazione in forme L e cronicizzazione, inizialmente silente, dell’infezione” afferma il dott. Maurizio Italiano, già esperto in Omeopatia presso il Centro Collaborante OMS dell’Università degli Studi di Milano e Presidente del Centro Studi La Ruota. “Questo fenomeno, ben documentato, comporta un doppio problema, diagnostico e terapeutico. La difficoltà diagnostica risiede nel fatto che le tecniche standard di coltura in laboratorio non riescono a identificarli. È il caso, per esempio, dei bambini con infezioni ricorrenti della gola o tosse cronica nei quali, però, il tampone faringeo risulta negativo, oppure il caso di artriti o sinoviti purulente o di infezioni urinarie in cui gli esami microbiologici tradizionali non riportano alcun germe, che può essere invece evidenziato facendo ricorso alla nanomicroscopia in campo oscuro con fluorescenza o immunofluorescenza. Un’altra malattia preoccupante per la diffusione di multiresistenze e di forme L patogene è senza dubbio la tubercolosi“.antibioticoterapia

L’altro ostacolo si pone nel trattamento: le forme L tendono ad eludere i normali meccanismi della difesa immunitaria e, poiché sovente si localizzano all’interno delle cellule dell’organismo, riescono a sfuggire all’azione degli antibiotici oppure ne sono immuni soprattutto se vengono somministrati quelli che agiscono sulla strutturazione della loro parete. Frequentemente, anzi, l’impiego protratto o improprio non fa che mantenere questo circolo vizioso. Gli antibiotici cosiddetti Beta-lattamici inducono infatti la trasformazione da forme con parete a forme senza parete che, quindi, sopravvivono. Subentrano e si espandono così sul territorio recidive più o meno periodiche di infezioni batteriche supportate sia dai noti meccanismi di resistenza che da quelli, meno noti, di induzione. “In questo contesto – precisa il dott. Italiano – diventa interessante proporre un approccio innovativo: da un lato, infatti, l’uso mirato della microbiologia e della microscopia ci consente di identificare agenti infettivi batterici anche se morfologicamente sprovvisti di parete; dall’altro una serie di atti, che includono lo stile alimentare, ci porta a riequilibrare il terreno, ossia l’ambiente intorno alle cellule (spesso acido), ed adottare strategie che mettano il sistema immunitario nella condizione di riconoscere i patogeni a livello extra- e intracellulare e di reagire. In questa ultima parte l’omeopatia può svolgere un ruolo interessante. Un esempio pratico potrebbe essere riassunto in approcci di intervento tra loro sinergici: il primo consiste nella rimozione della componente radicalica acida attraverso uno stile dietetico che escluda, o regoli, l’introduzione di cibi acidificanti (es. certi tipi di carni, latti, zuccheri raffinati, ecc…) utilizzando anche un preparato alcalinizzante (ad esempio un mix di citrati e carbonati quale l’Alkimo); il secondo è mirato alla modulazione e aggressione delle forme patogene presenti attraverso la somministrazione di microrganismi in grado di modularne la patogenicità (es. nel caso dello Streptococco spp. l’uso di Penicillium chrysogenum – Notakehl) mentre la terza prevede l’uso di apteni, cioè componenti di basso peso molecolare (es. nel caso dello Streptococco spp. Sanukehl Strep D6 gtt, costituito dalla componente polisaccaridica immunogenica derivata da colture apatogene di Streptococcus pyogenes) con lo scopo di stimolare la risposta immunitaria“.

Questo approccio si integra perfettamente con le terapie antibiotiche, permettendone un uso appropriato ed efficace, con il vantaggio di una riduzione dei tempi di guarigione e del superamento dei meccanismi che sono alla base delle sviluppo di resistenza all’azione degli antibiotici stessi.