Salute

Medicina lenta, Slow Medicine per fare di meno e meglio


La medicina fa continui passi in avanti, ma l’obiettivo dev’essere migliorare la qualità delle cure, non la loro quantità. Dietro questa filosofia si muove l’iniziativa di un gruppo di medici italiani che promuove la cosiddetta “Slow medicine”, letteralmente tradotto medicina lenta, in realtà medicina non eccessiva.

Si tratta di una sorta di movimento di cui si è discusso sul British Medical Journal, promosso dallo slogan “Fare di più non significa fare meglio”. Insomma mettere ancora di più i pazienti al primo posto, cercando un giusto compromesso tra cure necessarie e quelle che si possono risparmiare a chi già soffre.

Sandra Vernero, segretario generale di “Slow Medicine”, spiega: “Il progetto nasce con l’obiettivo di tutelare gli interessi dei pazienti attraverso un partenariato con gli operatori sanitari, non razionalizzando solo l’assistenza per ridurre i costi”.

Colonna portante è la “medicina partecipativa” secondo cui “i medici dedicano più tempo al colloquio con i pazienti perché solo con una medicina partecipativa si combatte quella difensiva che gli specialisti praticano sempre di più per prevenire denunce e affinché negli ospedali non si guardi solo al numero di visite ma anche alla qualità delle prestazioni”.Medicina lenta, Slow Medicine per fare di meno ma fare meglio

Spesso ci si accanisce terapeuticamente nei confronti di un malato somministrando ogni tipo di terapia che la medicina e le ultime scoperte propongono, non valutando attentamente il bilancio benefici-effetti collaterali che queste cure comportano. Sottoporre chi soffre a estenuanti attese, a somministrazioni di farmaci dolorosi o con effetti collaterali devastanti, non sempre è un bene.

Anche difficile è trovare un punto di equilibrio valido tra necessità di una cura che possa prolungare le aspettative di vita ed evitare medicinali che peggiorano la qualità della vita stessa. In questa direzione probabilmente dovrà andare la medicina nei prossimi anni, di pari passo con un dialogo maggiore tra medici, familiari e pazienti, nei casi in cui siano ancora in grado di prendere decisioni per se stessi.